Redazione. Nel giardino di Dio, il seme deve divenire frutto e nuova vita

La ricchezza donata, non sarà sostituita dall’uomo. Alla fine ho scelto di scrivere… E’ una scelta senza cercarne il clamore, nel bene o nel male. Internet, “la rete”, come tutti la chiamano, è piena nei social network di bandiere in trasparenza su foto dei profili scattate in ogni occasione; piena di post, cinguettii, fotogrammi, video, suoni… Il timore che io cada nel qualunquismo e nel personalismo, è forte. Inoltre, mi accorgo, che tutte parole terminano con “..ismo” e già questo mi crea qualche difficoltà, perché ne sono stato sempre colpito, sin da ragazzo alla scuola. Non fate 1+1… non fa 2 in questo caso… leggo anche termini come associativismo, assenteismo, imperialismo ed anche (ahimè)… umanismo. Accogliendo l’invito dell’amica Cecilia a scrivere, decido  prima di uscire di casa, andare nella mia Contrada,  osservare la mia montagna, l’Amiata, allungare lo sguardo verso il Santuario della Madonna di San Pietro, vecchia casa dei Carmelitani, scendere con la fantasia in Val d’Orcia ed arrivare, tra le Crete, sino a Siena. Si perché a Siena c’è un mio amore, neanche tanto nascosto, che si chiama Caterina, tignosa, insistente quanto la sua bontà, giustizia e carità. Quanto la sua bellezza, già Santa e scelta Patrona nel destino. Un seme ed un frutto, della terra di un giardino divino. Mentre scrivo, il viaggio con gli occhi e col pensiero va a toccare la libertà, i frutti dei Campi Elisi, i corpi e le idee di Parigi, l’Europa, il Kenia, l’Africa, il Medio Oriente, l’Asia, New York, l’America e poi l’Oceania … la Terra vorrei dire, per non lasciare il mare; una terra che non sembra più essere Giardino di Dio ma sterpaglia dell’uomo, come a contraddire le origini. Quel giardino, sorretto dalla mano divina, che l’amica Cecilia ha creato con la sua opera artistica, ora nella mia Contrada; quel giardino di cui i vecchi custodi del Santuario ne portano, con Carmelo, il nome: quel giardino sempre più così conteso da esser dimenticato, anzi, distrutto. Dov’è il giardino che Dio ci ha donato? Lo cerchiamo per renderlo arido? Lo vogliamo per renderlo sterile? Lo vogliamo per toglierlo ad altri? Il giardino è dentro di noi, siamo noi. E’ la nostra missione, il nostro ruolo, l’eredità passeggera da conservare, per poi donare attraverso il rispetto, la dottrina, l’ascolto, il pensiero, l’arte, il manufatto, le idee, la testimonianza, la condivisione… Ed allora mi chiedo: dove cammina l’uomo oggi, con cosa cinge i suoi fianchi, dove poggia i suoi piedi, dove lavorano le sue mani per crescere la sua anima ed il suo cuore? Dove il suo amore per la terra del giardino donato? Dove la sua custodia, dove la sua consapevolezza, dove la sua dottrina? Dove il rispetto della terra donata? Dove la sua anima? Coltiviamo la terra con l’errore, pensando sia una terra conquistata, dimenticando sia una terra donata. Il nostro è un passaggio che nasce dal seme, cresce germoglio, diviene pianta, fiore, frutto e nuovo seme per altra vita. Un passaggio che ha i propri tempi, che l’uomo non deve fermare. La vita è il tempo, l’uomo l’ha ricevuta. Quanti i tempi cambiati dall’uomo, quanti semi non tornati alla terra? Un giardino più povero dove la ricchezza donata, non sarà mai sostituta dalla malvagità dell’uomo. Ma il nuovo seme, crescerà.  ]]>

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